Quali caratteristiche dovrebbe avere un buon reportage sullo sviluppo e la cooperazione internazionale? Come parlare dei paesi del Sud del mondo? Queste domande sono state il punto di partenza del confronto tra giornalisti e operatori della cooperazione, avvenuto nell’ambito del progetto europeo DevReporter Network – Comunicare in rete per lo sviluppo, di cui il COP è stato il partner italiano.
di Silvia Pochettino
Certi paesi non si possono raccontare a distanza. Questo è il primo punto su cui tutti sono d’accordo. Per raccogliere buone storie sui paesi del Sud del mondo bisogna anche “raccoglierne il gusto, l’odore“, toccare le situazioni con mano, sperimentare sulla propria pelle.
È poi importante conoscere ciò che si comunica, il mordi e fuggi è estremamente rischioso in contesti molto diversi da quello di provenienza del giornalista. Contestualizzare le notizie è teoricamente il compito di ogni buon giornalista, ma contestualizzarle in contesti culturali molto diversi richiede un’operazione più complessa. “Si tratta di contestualizzare anche rispetto alle realtà locali, alla loro percezione dei diritti e dell’ambiente per far emergere il punto di vista locale” sostengono le Ong.
Innescare processi di identificazione è d’altra parte una chiave fondamentale per interessare il pubblico a questi temi, sostengono i giornalisti.
Ridefinire il concetto di prossimità
È quindi fondamentale mantenere un equilibrio tra questi due aspetti, arrivando anche a ridefinire il concetto di prossimità. Cosa mi è vicino e cosa mi è lontano? Può essere a volte più utile per un lettore italiano conoscere notizie su paesi lontani che lo aiutano a meglio comprendere meccanismi che influiscono sulla sua vita (come ad esempio la delocalizzazione delle imprese nei paesi del Sud del mondo, lo scoppio di nuove guerre, l’andamento dei prezzi sul mercato) piuttosto che seguire in dettaglio la cronaca nera del proprio quartiere, ma è solo capacità del buon giornalista far emergere le connessioni tra micro e macro, mettere in luce i meccanismi internazionali che sottostanno ai fatti di attualità.
Gli elementi per un buon reportage sullo sviluppo
Tutti d’accordo poi nel dire che né sensazionalismo, né pietismo, aiutano una buona comunicazione sullo sviluppo. Rispettare la dignità dei soggetti locali è precondizione di qualunque buon reportage. Così come un buon reportage sulla cooperazione internazionale non racconta l’emergenza, ma comunica il cambiamento globale che parte dalla cooperazione.
Soprattutto, la comunicazione della cooperazione non è autoreferenziale – e qui i giornalisti tirano le orecchie alle Ong – argomenta oltre il progetto, fornisce dati, dà voce ai protagonisti, lascia autonomia al giornalista di svolgere il suo lavoro. Come non devono esistere giornalisti embedded nell’esercito americano, non devono esistere giornalisti embedded neanche nelle Ong.
Un buon reportage sullo sviluppo inoltre fa attenzione al linguaggio e alla parità di genere, aiuta a far emergere il punto di vista femminile sulla cooperazione. Cerca e racconta storie positive senza indugiare nel catastrofismo, perché la chiave è suscitare curiosità e non pietà nei propri lettori.
Infine una buona comunicazione su questi temi non può essere a spot, ma deve prevedere una continuità nel tempo, affrontare i temi da più punti di vista, creare nel tempo una mentalità nuova che supera stereotipi e semplicismi.
Da DevReporter Network a Frame, Voice, Report!
Il progetto DevReporter Network – Comunicare in rete per lo sviluppo, iniziato nel 2013 e concluso nel 2016, ha avuto come obiettivo il miglioramento della qualità dell’informazione e della comunicazione sulle tematiche dello sviluppo, facilitando l’incontro e il confronto tra i media e il mondo della cooperazione internazionale.
A seguito delle diverse attività di analisi, formazione e dibattito realizzate durante il progetto DevReporter Network è stato elaborato il Vademecum per un’informazione internazionale responsabile.
Le esperienze, gli strumenti e le pratiche sviluppate nel corso del progetto rappresentano uno dei pilastri su cui è stato costruito Frame, Voice, Report!.
Foto: Ashar Gan Onlus
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